Faccia chi può, prima che il tempo mute; ché tutte le lasciate son perdute.
Qual è la cosa più preziosa per i viventi? La vita.
Di cosa è fatta la vita? Di tempo.
Non è chiaro che percezione abbiamo del tempo gli animali non umani, ma quella degli umani ci è fin troppo chiara: il tempo è il bene più prezioso e più volatile.
C’è una frase attribuita a Charles Darwin che suona lapidaria:
“A man who dares to waste one hour of time has not discovered the value of life.”
Chissà cosa avrebbe pensato il noto scienziato di questa particolare evoluzione dell’essere umano nel XXI secolo, quella in cui siamo tutti per ore ed ore con gli occhi incollati ad uno schermo luminoso, più o meno grande, ad interagire a distanza con nostri simili attraverso “un gruppo di applicazioni basate sul web e costruite sui paradigmi (tecnologici ed ideologici) del web 2.0 che permettono lo scambio e la creazione di contenuti generati dagli utenti” che chiamiamo social media, nei quali proiettiamo una immagine di noi stessi che sempre meno somiglia alla nostra fisicità ed esistenza in vita?
Probabilmente si sarebbe domandato quali conseguenze sulla evoluzione umana tale comportamento, spesso a dir vero ossessivo, potrebbe determinare come ad esempio l’acquisizione di una maggiore velocità nel movimento delle dita, dei polpastrelli più piccoli per centrare con maggior sicurezza i tasti, una piccola gobba alla base del collo, perdita delle capacità di parola e chissà cos’altro ancora. Oppure Darwin si sarebbe fermato a riflettere sul tempo trascorso sui social e lo avrebbe considerato semplicemente tempo buttato via?
Siamo immersi in un fenomeno globale che in pochi anni ha trasformato in maniera profonda il nostro mondo di relazioni, la nostra quotidianità, le abitudini di vita e infine l’intero procedere dell’esistenza. Ci siamo consegnati tutti, o quasi, mani e piedi legati, alle nuove divinità del nostro tempo, i guru di quelle piattaforme che ci hanno fatto credere, e noi ci abbiamo creduto, di metterci a disposizione uno strumento potente per espandere le nostre possibilità di contatti e comunicazione, mentre eravamo e siamo solo un “prodotto” come la crema miracolosa che compare in bacheca ogni tre per due, anzi più della crema che almeno è consapevole, nel senso che lo è che li promuove, di essere un prodotto.
Non esiste al mondo alcun servizio o fornitura che sia gratis, che non preveda in qualche maniera e modo un corrispettivo, un pagamento.
Se è gratis il prodotto sei tu, recita un adagio oramai usurato.
Lo sappiamo, ne siamo consapevoli eppure continuiamo ad alimentare la macchina dei social con il nostro carburante, continuando a produrre e regalare dati, una quantità inimmaginabile di dati che vengono raccolti, analizzati, lavorati e quindi utilizzati per farci sapere ogni giorno con maggior efficacia e puntualità cosa ci piace, cosa desideriamo, di cosa abbiamo bisogno infine cosa pensiamo.
La famosa massima di Harold Lasswell who gets what, when and how, applicata all’universo dei social, è una frase priva di incognite poiché sappiamo benissimo who e con un poco di applicazione anche what, when e how non hanno più segreti.
Perché dunque nonostante il diffuso grado di consapevolezza a cui siamo giunti, basti guardare la mole di articoli, saggi e testi scritti negli ultimi anni sull’universo dei social, non riusciamo a farne a meno? Le risposte sono molte ed anche complesse e alla fine vanno tutte a sbattere contro l’evidenza che le attività sui social media sono oramai parte integrante della vita di ognuno di noi.
Ma resta la questione del tempo. Quanto tempo trascorriamo ogni giorno sui social?
Il tempo speso sulle piattaforme social si attesta oramai su una media a persona di 2 ore e 25 minuti al giorno, che equivale quasi ad un giorno intero alla settimana, un tempo enorme. Con questi numeri, alla fine del 2021 avremo speso o perduto tutti insieme 420 milioni di anni sui social media.
Queste 2 ore e 25 minuti al giorno in media a cosa le sottraiamo? Ognuno di noi sa cosa non fa più o fa di meno dall’avvento dei social, parlare al telefono ad esempio, leggere libri, guardare la tv, passeggiare, incontrare gli amici, parlare con le persone della sua famiglia, con i colleghi al lavoro e chissà quante altre cose ancora.
E’ tempo ben speso o buttato via? Ma soprattutto esiste una alternativa possibile?
Come possiamo continuare a restare in contatto con tutto ciò che ci interessa attraverso il web facendo a meno delle piattaforme social?
È tempo di ri-pensare al nostro rapporto con la Rete e con l’universo dei social media.
È arrivato il tempo di riprenderci il nostro tempo, almeno quello che ne rimane per ognuno di noi.