In questi giorni si tengono le consultazioni per la formazione del nuovo governo italiano. Nessuna forza politica, né alcuna istituzione, ha ritenuto di parlare di democrazia e della divisione dei poteri dello Stato. Le deroghe al principio di separazione dei poteri (Montesquieu) sono tante e tali da mettere in discussione che l’Italia sia una Repubblica democratica come, invece, affermato nell’articolo 1 della Costituzione.
Crediamo che, prima di ogni altra cosa, ogni parte politica avrebbe dovuto chiedere con forza e convinzione che il Governo governi e non legiferi, pretendendo, con altrettanta determinazione, che il Parlamento legiferi e non governi. La promessa, cioè che ognuno faccia il suo dovere e non quello altrui, costituisce la necessaria premessa affinché ogni organizzazione, quindi anche quella statuale, funzioni. Non riguarda né l’efficienza né l’efficacia dell’azione dell’organizzazione, ma la sua stessa capacità di funzionare. E questo in concreto, non in astratto e a parole.
Da tempo immemore piegare le regole alla necessità di governare ha sempre costituito la massima tentazione. Ogni governo ha sempre parlato della necessità di riformare le regole per poterle rendere applicabili. Per poter, appunto, governare. E, ovviamente, il Governo sceglie le regole ad esso più adatte. Ma le regole devono essere fatte da un organo diverso proprio perché esse limitano l’arbitrio del governo. Il tentativo, spesso riuscito, da parte dei governi di usurpare la facoltà della produzione legislativa viola la divisione dei poteri dello Stato, fondamento irrinunciabile della democrazia. E non stiamo parlando solo dell’abuso della decretazione d’urgenza (decreto legge, art. 77 Cost.), ma anche e soprattutto degli altri trucchi con cui il Governo usurpa la funzione legislativa o (e forse è persino peggio) coarta la volontà del Parlamento. Due esempi: il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) e la questione di fiducia.
Durante i mesi della pandemia il Presidente del Consiglio ha utilizzato in maniera ricorrente lo strumento del D.P.C.M. Vale la pena di ricordare che, fino al 1988, il Presidente del Consiglio dei Ministri era l’unico che non aveva alcun potere di decretazione. Non aveva suoi decreti perchè non aveva alcun ministero né alcuna funzione ministeriale. Esistevano decreti ministeriali (di un ministro), interministeriali (di due o più ministri) e i decreti del Governo (controllati dal Presidente della Repubblica) cioè i Decreti del Presidente della Repubblica (D.P.R.). Ma il Presidente del Consiglio non poteva emanare alcun decreto. Nel tempo il Presidente del Consiglio è stato trasformato da primus inter pares, cioè da figura equiordinata ai ministri, in Capo del Governo, come quando era in vigore la legge n. 2263 del 24 dicembre 1925, la prima delle cosiddette leggi fascistissime o leggi eccezionali del fascismo. L’uso e l’abuso dei D.P.C.M. cui abbiamo assistito nell’ultimo anno lo dimostra.
D’altro canto il continuo ricorso alla questione di fiducia consente al Governo di chiudere ogni discussione in Parlamento con un secco aut aut che tiene in scacco i parlamentari agitando davanti ai loro occhi lo spauracchio della crisi parlamentare, quindi della caduta del governo e conseguentemente di nuove elezioni. In questo modo una delle funzioni dei membri del Parlamento, la possibilità di presentare emendamenti e, quindi, di migliorare il testo normativo in corso di approvazione, viene impedita. Il Parlamento non valuta, non interviene, non discute, non si confronta, ma è costretto ad approvare o respingere in blocco. In pratica ogni deliberazione avviene senza discussione e senza approfondimento ed il fatto che sia una coartazione legale non la rende giusta. Il Parlamento è diventato un “Votificio” o, meglio, un “Votamento”.
La cura per questi mali è semplice. Basta richiamarsi alle regole costituzionali e, in particolare, al ripristino reale della separazione dei Poteri dello Stato. Il Parlamento (organo legislativo) deve occuparsi delle regole, astratte e generali. Il Governo (organo esecutivo) deve applicare le regole e farle rispettare.
Esiste, poi, un terzo potere dello Stato, nella definizione classica, quello giudiziario il cui compito non è far rispettare la legge (compito di polizia e quindi del Governo) ma quello di fare giustizia. E la Giustizia ha ben poco a che fare con la legge!
Ma di questo terzo potere dello Stato scriveremo un’altra volta (to be continued).