Non avrebbe potuto cadere in un giorno migliore (o peggiore) questo 12 marzo, la giornata internazionale contro la censura su Internet.
Una guerra in corso, un evento che mette in dubbio il banale diritto alla vita delle persone, la loro autodeterminazione sociale e politica, fa passare in secondo piano inevitabilmente (e tragicamente) ogni altra battaglia sui diritti, anche fondamentali. È in momenti come questo che sostanziali restrizioni alle libertà civili di tutti sono possibili. Questa consapevolezza non può però distoglierci dalla priorità di riconoscere le cause negli aggressori e per questo contrastarli più duramente. La vita ha (o dovrebbe avere) priorità su tutto, anche se è quella di un popolo lontano.
Ma le altre mancanze restano, e si aggravano nei momenti di guerra. Non bisogna dimenticare la storia, anche recente. L’11 Settembre 2001 generò il Patriot Act, i cui danni sulle libertà civili sono diventati permanenti, a più di venti anni di distanza. Per la guerra in Iraq si costruì uno schermo di cattiva conoscenza, voluto dal governo inglese di Tony Blair e suffragato dalla CIA, che permise impunemente la manipolazione non solo dell’opinione pubblica, ma anche delle istituzioni democratiche, in UK e USA, prima, e poi in tutto il mondo, con la produzione di un dossier infondato sulle armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein (su questo si veda il risultato della commissione governativa presieduta da Sir John Chilcot). Né si possono dimenticare le mancanze, particolarmente care al Partito Pirata, nella gestione del caso di Julian Assange e Chelsea Manning.
Se è chiaro che nulla di tutto questo neppure lontanamente giustifica il giudizio sulle aggressioni non provocate (come quella dell’esercito russo in Ucraina), e neppure minimamente ammorbidisce il giudizio su chi se ne sta rendendo responsabile, è altrettanto chiaro che non per questo deve essere allentata l’attenzione.
I diritti fondamentali del popolo Ucraino sono calpestati, stracciati sono anche quelli del popolo russo dalla propria stessa dittatura, ma anche i nostri sono sempre continuamente a rischio. È proprio in momenti come questi che le forze reazionarie, talvolta travestite da agnellini o da salvatori della patria, agiscono per minare le nostre stesse libertà civili.
Se una differenza deve esserci tra le dittature e i paesi democratici questa differenza deve essere proprio nell’inderogabilità di questi diritti umani, civili e sociali. Ogni volta che queste frontiere si spostano allora non si sta combattendo contro le dittature, ma a loro favore.
C’è un solo modo per agire, per combattere contro questa deriva autoritaria che sembra stia invadendo il nostro pianeta: una generosa partecipazione popolare. Rivendicare il proprio posto nella decisionalità del mondo. Con conoscenza dei fatti, comprensione delle ragioni e condivisione degli obiettivi, ma essendoci da protagonisti e non come semplici spettatori delle informazioni (spesso distorte dalle propagande di ogni parte) che viaggiano in tutti i mezzi di comunicazione.
Esserci è l’antidoto al virus autoritario, prima che sia troppo tardi.