Gentile dott.ssa Maiello,
siamo davvero sorpresi della presa di posizione dell’Associazione Italiana Biblioteche a favore della direttiva di riforma del Copyright in approvazione al Parlamento Europeo nella versione negoziata il mese scorso con il voto contrario di Italia, Finlandia, Polonia, Paesi Bassi e Lussemburgo.
Secondo una lettera aperta sottoscritta dall’AIB assieme all’Associazione Italiana Editori (AIE) e all’Associazione Italiana Librai (ALI), la direttiva meriterebbe di essere approvata in quanto compromesso che “introduce nuove eccezioni a favore della ricerca, della didattica e delle biblioteche, promuove nuove forme per rendere accessibili le opere fuori commercio e aggiorna gli strumenti per valorizzare il diritto d’autore come motore della crescita e innovazione culturale, preservandone al tempo stesso l’indispensabile funzione di libertà e di contrasto dei monopoli”.
Le associazioni bibliotecarie mondiali ed europee, però, hanno assunto una posizione diversa da quella dell’AIB: anche quando riconoscono qualche piccolo miglioramento in alcuni punti, non caldeggiano mai l’approvazione della direttiva nella sua interezza e hanno anzi espresso la loro gratitudine alla deputata del Partito Pirata Julia Reda proprio per averla costantemente combattuta.
Anche noi riteniamo che la direttiva, in specie negli articoli 11 e 13, limiti pesantemente l’espressione e la circolazione delle idee e dei prodotti dell’ingegno, e quindi la stessa libertà della conoscenza, del cui esercizio le biblioteche sono strumento indispensabile. È certo necessario “un quadro normativo definito che riconosca in un diritto d’autore equilibrato dalla presenza di eccezioni e nella libertà di espressione assoluta e responsabile, gli elementi fondamentali per continuare a promuovere la creatività, l’accesso più ampio possibile, gli investimenti e l’innovazione nella filiera del libro e più in generale in tutte le industrie creative”. La riforma, però, non va affatto in questa direzione –l’AIB stessa l’aveva riconosciuto solo un anno fa- bensì in senso diametralmente opposto, perché rende difficile e costosa l’interconnessione fra i testi a causa della “tassa sui link” e grava le piattaforme di oneri tecnici e legali (filtri in upload) che permetteranno la sopravvivenza solo di alcuni oligopoli a danno della libertà di parola e di iniziativa di tutti noi.
Anche se Wikipedia, in quanto enciclopedia senza fini di lucro, non sarà direttamente lesa, i wikipediani e in generale quanti cercano e condividono sapere dovranno fare ricerca in una rete ancor più oligopolistica e intimidita di quella attuale, e dunque più povera di fonti informative affidabili.
Per di più, la direttiva soddisfa ben poco anche gli interessi specifici delle biblioteche: l’eccezione al copyright per il text and data mining (art. 3) è in pratica assicurata solo per le organizzazioni di ricerca, lasciando fuori giornalisti e ricercatori indipendenti, mentre quella per gli usi didattici (art. 4) dipende in sostanza dal permesso degli editori. Vale davvero la pena di sacrificare la libertà di ricerca e di iniziativa di tutti noi in cambio della possibilità di riprodurre materiale protetto per fini di conservazione (art. 5) e di rendere disponibili on-line opere fuori commercio (art. 7)?
In quanto lettori e ricercatori, siamo abituati ad avere i bibliotecari dalla nostra parte, come amici della conoscenza, come sostenitori consapevoli e competenti della scienza aperta, come nemici della censura e degli oligopoli dell’editoria commerciale: proprio per questo, ci auguriamo che l’AIB ritorni sui suoi passi, invitando tutti gli europarlamentari a votare “no” alla direttiva, per permettere la formulazione di una proposta che possa davvero soddisfare le esigenze di una “libertà di espressione assoluta e responsabile”.
Partito Pirata