La pretesa del Potere (politico o economico) di poter agire in segreto annulla il diritto alla conoscenza, che è fondamentale nelle società democratiche.
Il quotidiano britannico The Guardian ha ricevuto migliaia di documenti e comunicazioni interne dell’impresa americana Uber e li ha trasmessi all’Icij (International consortium of investigative journalists) che ne ha fatto oggetto di esame, per controllarne l’autenticità e ricostruirne il significato.
Anche questa volta, come in passato, ad esempio per i Panama Papers che rivelarono la realtà di enormi evasioni fiscali, non pare sia in discussione la genuinità dei documenti. Essi rivelano attività degli amministratori di Uber negli anni tra il 2013 e il 2017. Non importa qui valutarne la compatibilità con le leggi in vigore nei vari Stati in cui si sono svolte.
Importa invece che si tratta di documenti, che si voleva rimanessero segreti perché altamente imbarazzanti sia per quella impresa, sia per i lobbisti che agivano nel suo interesse, sia soprattutto per gli interlocutori politici, governativi, parlamentari che venivano raggiunti. The Guardian e Le Monde hanno cominciato a pubblicare parte di quei documenti, inquadrandoli nel contesto in cui vanno inseriti, che ne spiega l’alto interesse per l’opinione pubblica.
Così, ad esempio, emerge che Emanuel Macron, allora ministro dell’economia, incontrava i vertici di allora di Uber e assicurava loro appoggio mentre il governo di cui faceva parte ne contrastava l’attività e affrontava la protesta dei taxisti contro la concorrenza della nuova forma di trasporto. Una legge per contenere l’attività di Uber in Francia era stata da poco approvata. Nulla di illecito probabilmente da parte del ministro Macron, ma il problema è quello della segretezza e del divario che essa copre tra la politica ufficiale e l’agire concreto, tra ciò che i cittadini conoscono e ciò che viene loro occultato.
Non diverso, anche se molto più drammatico, è il caso della pubblicazione dei documenti americani da parte di WikiLeaks di Julian Assange. Si tratta di comunicazioni interne alla amministrazione americana, alle forze armate in Irak e Afganistan, a diverse ambasciate degli Stati Uniti nelle loro comunicazioni con il governo. Da quanto pubblicato emergono uccisioni di civili, abusi e violenze non fatti oggetto di indagine e punizione. Fatti tutti gravi ed evidentemente contrastanti con l’immagine ufficiale che veniva presentata di quelle guerre.
Anche in questo caso la pubblicazione da parte di Assange ha rotto il segreto e ha portato a conoscenza fatti importanti per il dibattito pubblico. Da anni in Inghilterra si combatte una vicenda giudiziaria e politica che potrebbe condurre alla estradizione di Assange (nel frattempo da anni detenuto) verso gli Stati Uniti dove l’attende un gravissimo processo.
La vicenda processuale sembra avvicinarsi all’epilogo, anche se è verosimile che vi sarà un ricorso alla Corte europea dei diritti umani, con possibile sospensione della esecuzione del trasferimento di Assange. Conseguenti saranno le polemiche in Inghilterra, che da tempo minaccia di abbandonare la Convenzione europea. Insomma, la vicenda potrebbe avere sviluppi molto gravi anche per il sistema europeo dei diritti umani (che già ha visto l’espulsione della Russia, che ha privato il Consiglio d’Europa dell’ambizione di rappresentare tutta l’Europa nella difesa dei diritti fondamentali).
La vicenda di Assange, la sua detenzione e possibile estradizione, ha un effetto grave su uno dei pilastri della libertà e democrazia di cui spesso facciamo vanto in Europa. Si tratta della libertà di informare l’opinione pubblica dei fatti di interesse per il dibattito pubblico.
Inutile legare la democrazia alle elezioni di parlamenti e governi, se chi vota non conosce i fatti rilevanti ed è vittima quindi di disinformazione. Non si può negare la necessità del segreto imposto su certe vicende, per il tempo necessario.
Ma sia i documenti pubblicati da Assange, che quelli relativi a Uber in via di pubblicazione hanno un alto contenuto di portata politica e la loro segretezza ha comunque esaurito ogni potenziale giustificazione, se non quella del segreto per il segreto.
La pretesa del Potere (non solo quello pubblico) di poter agire in segreto annulla il diritto alla conoscenza che è fondamentale nelle società democratiche. Perché il segreto non sia impropriamente utilizzato è indispensabile l’opera del giornalismo di investigazione. Essa lavora per forzare i segreti. La persecuzione di Assange ha già l’effetto di ammonire e impaurire i giornalisti. Certo il giornalista è soggetto a doveri e responsabilità.
Ma l’incertezza sulla tenuta del segreto in futuro ha il positivo effetto di trattenere dal commettere nefandezze o comunque azioni onestamente indifendibili. Se, come si usa dire in Occidente, la stampa è il cane da guardia della democrazia, occorre proteggere coloro che, per informare, violano i segreti che riguardano fondamentali aspetti della vita pubblica. Non si protegge la democrazia pubblicando solo ciò che è già noto, ciò che il Potere crede utile comunicare, ciò che è compiacente o irrilevante. (Vladimiro Zagrebelsky)