Ogni futuro si prepara nel presente.
Consapevolmente o inconsapevolmente.
Ogni giorno ogni persona su questo pianeta prepara il suo futuro e in qualche modo quello di tutti gli altri.
Anche le collettività preparano nel presente il proprio futuro, attraverso le scelte dei governi, degli organismi intergovernativi, delle lobby economiche ed ogni scelta e atto, ogni deliberazione e decisione aggiungerà un tassello al futuro che verrà.
Illogico pensare che esista un unico piano, come vorrebbero i complottisti del web, più verosimile che ne esistano molti e spesso in conflitto tra loro.
Se vivere il presente accomuna ognuno e tutti nella preparazione del futuro ciò non significa che ognuno e tutti lo facciano allo stesso modo.
In politica, negli ultimi tempi, sono emerse con gran forza le istanze di chi crede di trovare risposte al presente, quindi alla costruzione del futuro, nel passato, tirando fuori dalla storia tanti vecchi arnesi come il nazionalismo, l’integralismo di una qualche religione, il dirigismo statalista o la sempre evergreen “idea dell’uomo solo al comando”. Tutta “robaccia” che sfrutta la paura degli esseri umani di soffrire, perdere beni e vita.
Ogni generazione umana ha conosciuto l’incertezza del futuro e la complessità del presente, ma forse il primo ventennio del XXI secolo ci ha messo di fronte a sfide eccezionali, anche prima della crisi pandemica che stiamo attraversando.
Il nostro mondo è diventato troppo complesso e sostanzialmente inconoscibile per il singolo individuo.
Intelligenza artificiale e Big Data hanno invaso il mondo degli umani, trasformando ogni individuo in un più o meno inconsapevole produttore di dati. Ogni giorno, ognuno di noi, con la sua semplice esistenza si lascia dietro una scia di informazioni che vengono raccolte, analizzate, conservate ed usate per molte e diverse ragioni.
Ma questo è oramai preistoria digitale, il presente si gioca e ancora più il futuro si giocherà sul connubio tra tecnologie biologiche ed informatiche. Quando avverrà il passaggio dalla semplice raccolta dati alla creazione di “quei” dati, quando cioè la scia che ogni giorno lasceremo sarà creata artificialmente modificando le nostre emozioni, i desideri, le risposte agli stimoli esterni, saremo precipitati in una vera e propria “dittatura digitale”.
Le democrazie, così come le abbiamo sin qui conosciute, non hanno nessuna possibilità di sopravvivere a questi cambiamenti. Saranno anch’esse purtroppo “vecchi arnesi del passato”, inservibili, inutilizzabili. Lo stesso “ordine mondiale” sarà scomposto e ricomposto in base a nuove istanze e necessità.
Nessuno oggi può dirci come sarà il mondo tra 30 o 40 anni anni, né come sarà l’Europa o l’Italia. Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla fantascienza è che le previsioni quasi mai ci azzeccano.
Probabilmente tutto il vecchio Continente subirà un forte cambiamento etnico e culturale, il che non vuol dire che sarà invaso e subirà una sorta di sostituzione etnica, ma piuttosto che il melting pot sarà la normale composizione della popolazione.
Una popolazione, che però in gran parte, non avrà nessun lavoro da fare, o meglio il cui reddito, la cui sopravvivenza economica non dipenderà da una professione o una qualsivoglia attività. Già oggi un ventenne compete sul mercato del lavoro non solo con altri ventenni ma anche con l’intelligenza artificiale, i robot e le macchine.
Vent’anni fa il “posto in banca” era un must, oggi semplicemente quel posto non esiste più, sostituito da servizi di home banking. Quando tra qualche anno, pochi oramai, gli analfabeti digitali, ovvero quella residua fascia di persone più anziane che non ha voluto, saputo, potuto entrare nel mondo dell’informatica, non ci sarà più, scompariranno e del tutto molti altri servizi gestiti per così dire in “modalità umana”.
Molte delle pulsioni revanchiste dei nostri tempi affondano le proprie radici nella incapacità degli uomini di comprendere l’eccezionale complessità dei processi e la sensazione estrema di irrilevanza che ciò si porta dietro. Sentirsi irrilevanti, non necessari, non produttivi scatena tutta una serie di rivendicazioni “local” e passatiste tipiche delle decadenze.
L’operaio della prima metà del XX secolo si percepiva come sfruttato dal padrone o dai mezzi di produzione di massa, come si diceva a quel tempo, aveva ben chiaro però quale fosse il suo nemico e contro quel nemico poteva organizzarsi in gruppi e combattere. Aveva un ruolo economico ed una riconoscibilità sociale e questo faceva sì che si proiettasse verso il futuro. L’uomo irrilevante è senza futuro.
La grande sfida dei prossimi decenni è sottrarre gli esseri umani da questa condizione di irrilevanza facendoli entrare a pieno dentro la rivoluzione digitale evitando di farli cadere vittime delle dittature digitali.
I partiti nazionali sono cadaveri che camminano sulle macerie di stati i cui confini servono oramai solo a causare morti, sofferenze, ingiustizie ed incapaci di proteggerci dai nemici esterni. Già perché questi nemici oggi hanno forme, dimensioni e capacità di movimento tali che l’esistenza dei confini tra gli stati è assolutamente irrilevante.
Abbiamo scoperto in pochi giorni che nonostante i confini tracciati sulle carte geografiche, le limitazioni di ingresso, i trattati internazionali esistono viaggiatori, come i virus, che se ne impipano bellamente di tutto ciò e si spostano liberamente e così velocemente da essere capaci di fare il giro del mondo in pochissimo tempo. E uccidere.
Ma quanto uccide il covid-19?
Arriveremo ad avere milioni di morti per covid-19 nel mondo, come è stato per l’HIV-1 il virus che causa l’AIDS? Probabilmente si. Il virus sembra molto contagioso ma poco letale. Eppure abbiamo reagito a questa minaccia con una eccezionale politica di sicurezza che ha spazzato in poche ore secoli di diritti e conquiste sociali, soprattutto abbiamo reagito facendoci dominare dalla paura.
La paura è un eccezionale strumento di potere e di coercizione, il miglior alleato di qualsiasi despota.
La pandemia ha rivelato e confermato molte cose che già sapevamo, come l’inadeguatezza della nostra classe politica ed amministrativa, un servizio sanitario nazionale che è molto poco nazionale e poco efficiente, un rapporto a dir poco strambo tra governo nazionale e governi regionali, la oramai conclamata irrilevanza del Parlamento, un sistema della Protezione civile molto celebrato chissà poi perché ma profondamente inefficiente. E poi il sistema dell’informazione, quella che si è addirittura fatta uno spot televisivo che passa su tutte le reti più volte a giorno per chiederci di fidarci di loro, delle testate giornalistiche tradizionali, dei tg delle reti generaliste, insomma di quel sistema lottizzato e asservito da decenni alla partitocrazia, che con essa ha determinato lo stato di arretratezza economica, culturale e sociale dell’Italia. Così a leggere o ad ascoltare solo loro parrebbe che “tutti gli altri Paesi” hanno avuto l’Italia come modello in questa emergenza, per scoprire leggendo la stampa estera che è ben altra la considerazione per le scelte fatte dal nostro governo e dai governi regionali ed anzi che siamo un “caso” e pure grave.
Così dopo decenni di pessimi governi e ancor più pessimi governati, siamo riusciti ad arrivare a questo appuntamento cruciale con la Storia con i peggiori governanti dell’epoca moderna e non era facile visto i precedenti. Il “re è nudo” finalmente, ma tanti hanno nel frattempo perduto la vista.