Maria Rosaria lo Muzio Martin Luther King Day (Webinar) – Dai diritti civili alla conoscenza.

Intervento di Maria Rosaria lo Muzio (Segretario Partito Pirata) al Martin Luther King Day (Webinar) – Dai diritti civili alla conoscenza:

Buonasera.

Prima i ringraziamenti.  

Ringrazio Matteo Angioli ed il Partito Radicale per questo invito, che ho apprezzato, che abbiamo apprezzato, molto.

Viviamo tempi non facili, se mai questo pianeta di più facili ne ha mai visti. 

Mi torna in mente quella fantastica frase che Leonardo Sciascia ha voluto fosse scritta sulla sua tomba nel cimitero di Racalmuto “Ce ne ricorderemo di questo pianeta”. 

Ogni volta che mi torna alla mente, spesso in questi ultimi giorni, in cui abbiamo assistito ad una serie di ricordi e celebrazioni sciasciane, mi sorprendo a vagare tra i suoi tanti significati che evocano sì il reale, ma anche più l’immaginario, l’idea visionaria che per ogni essere vivente ci sia la possibilità di fare il viaggio della vita più volte in giro per l’Universo e che ogni volta al compimento il distacco avvenga affidando l’intera esistenza ad un pensiero sintetico come per l’appunto “ce ne ricorderemo di questo pianeta…”

Quindi siano o non siano più o meno difficili i nostri tempi di altri, certamente credo che i nostri,  siano tempi in cui, l’umanità può raggiungere risultati fino ad ora impensabili, grazie alla tecnologia che sta mettendo nelle nostre mani nuovi e più potenti strumenti di liberazione. 

Strumenti che ci consentono, ad esempio,  di vivere una vita di relazione, addirittura una vita pubblica e politica, pur in mezzo ad una pandemia, che ha reso complicati gli incontri, rarefatte le occasioni di socialità. Fosse accaduto anche solo 20 anni fa, sarebbe stato profondamente diverso, avremmo vissuto la segregazione delle misure emergenziali in maniera molto più dura ed assoluta.


Ma questi nuovi  strumenti tecnologici sono appunto strumenti, strumenti al servizio della nostra volontà e la nostra volontà, la nostra come esseri umani intendo, è una volontà spesso debole, superficiale, fiaccata dalla stanchezza di agire, tentata da un facile abbandono alla resa, con il risultato che invece di sfruttare il meraviglioso potenziale di questi strumenti, che non sono niente senza il meraviglioso potenziale della nostra volontà, ci adattiamo a loro, anzi finiamo per subirli, per esserne schiacciati.

L’uomo è tale perché trasforma il suo mondo, siamo gli unici animali a fare questo compiutamente e sistematicamente, ma per mille ragioni di fronte alla tecnologia, soprattutto a questa nuova tecnologia, proviamo un sentimento di soggezione. Questa soggezione fa sì che nel mondo virtuale accettiamo, spesso anche inconsapevolmente, che saltino  quelle garanzie che mai permetteremmo fossero toccate nella nostra vita reale. Non abbiamo a volte, spesso o sempre la contezza che la nostra vita per così dire “online” non è meno reale di quella che si svolge nella realtà quella a tre dimensioni.

Siamo nel pieno della Rivoluzione digitale, anzi forse siamo ben oltre il picco del fenomeno, e si fa un gran parlare, ormai da tempo,  di questi i diritti digitali, come fossero qualcosa di diverso dai diritti per cui l’umanità lotta da sempre.

 I diritti digitali sono diritti umani, diversamente  non sono. Chi può razionalmente affermare che non sia un diritto umano il diritto all’oblio o quello alla tutela dei propri dati o ancora  lo stesso diritto alla connessione ?


Se di transizione dalla Società dell’Informazione, che è la società della propaganda, alla Società della Conoscenza stiamo parlando, e di questo noi pirati parliamo, allora stiamo parlando di Conoscenza tout court. Conoscenza tutta. Pubblica e privata, rimettendo in discussione ad esempio anche il totem novecentesco del Copyright, per la sua dimensione di sottrazione al bene pubblico del “conoscere di ognuno”. Del far conoscere quanto è mio di autore, a tutti  e non limitarlo solo a chi ha il censo giusto, gli strumenti adeguati o il potere per accedervi. Perché se la conoscenza è oro, l’accesso per censo alla conoscenza cristallizza la nostra società in una società di privilegiati. 

Ma noi crediamo anche nella Conoscenza come diritto a far conoscere me stesso come Io, singolo, unico. Diritto alla Conoscenza è quindi anche diritto alla mia immagine, alla mia riconoscibilità, alla pubblicità di me stesso come io voglio che sia e non come altri decidono che essa debba essere. 

E questo ci conduce alla più stretta attualità. La violenza dell’algoritmo che elabora, taglia, seziona, espone, nasconde e quindi decide. 

L’algoritmo, ogni algoritmo (quello di Facebook sto dicendo? Sì quello di Facebook. Quello che colora le regioni di rosso, arancione o giallo? Sì, quello. Quello del cashback di Stato? Sì, anche quello e tutti gli altri) tutti gli innumerevoli algoritmi a cui abbiamo affidato le nostre esistenze modellano istante per istante la vita di tutti. Siamo diventati l’elemento random di ognuno degli  algoritmi che organizzano le nostre vite.

Hanno inventato e sovrapposto procedure ad ogni aspetto della nostra esistenza e ci chiamano a farne parte nel ruolo della pallina del flipper. Gamification, la chiamano. 

E a questa gamification, ludicizzazione in italiano —la parola esiste, usiamola almeno fino a quando avremo Matris Lingua,— a questa ludicizzazione noi stiamo rispondendo come vogliono che rispondiamo. Ma se per un attimo ci fermassimo a ragionare su quanto intimamente violento, quanto anti-politico, è questo modello in cui la società stessa progetta l’interazione dei propri «utenti», giacché sono diventati utenti e non più cittadini, ci renderemmo conto che quel Regime che noi abbiamo sempre accreditato all’intermediazione partitica, è qualcosa di molto più ampio, globale e forse assoluto e vive nella società che si sta progressivamente ma inesorabilmente allontanando dalla concretezza dell’azione umana, che sempre di più sta diventando solo una reazione a qualche forma di algoritmo.

Ma la battaglia non è perduta,  all’algoritmo possiamo reagire, come persone, come politici come comunità di azione, possiamo sparigliare le carte all’algoritmo, possiamo hackerarlo ,  violare il sistema. Possiamo  usare la nostra volontà, e sapienza politica, contro l’insipienza della fisica del flipper. E la tecnologia è nostra amica in questo. E’ questo il senso per noi dell’essere pirati. 

Questo significa sollevare l’argomento della nonviolenza dentro questa nuova forma di totalitarismo, che non è più il totalitarismo narrativo del fascismo o del comunismo, ma è  direi un totalitarismo operativo, pratico, e proprio per questo incredibilmente più penetrante.

In una recente intervista il prof. Luciano Floridi, professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, studioso del mondo digitale a proposito delle ultime performance dei CEO di FB o TWITTER ha dichiarato:

“Queste piattaforme hanno un impatto profondissimo. La nostra vita oggi trascorre Onlife (né online né offline), dove tutto è sempre connesso, all’interno di uno spazio digitale e analogico, fatto di comunicazione e di relazioni, che si può chiamare Infosfera. Questa infosfera è un luogo nuovo e si basa sulla circolazione delle informazioni, qui chi controlla le informazioni ha le chiavi di tutto. Per questo servono regole chiare. Che non lascino decisioni così fondamentali alle grandi aziende Big Tech della Silicon Valley.” 

Ed è proprio questo il punto, non lasciare che i guru della Silicon Valley, quelli che si riempiono la bocca di buoni propositi e prosopopea ambientalista e politicamente corretta, (mentre vanno a braccetto con la Cina di Xi Jinping) decidano in maniera autonoma quali sono le regole che vigono in questa infosfera. Con circa trent’anni di ritardo e solo grazie alla vicenda Trump il mondo forse in questi giorni  ne sta prendendo consapevolezza. 

Noi tutti che siamo sempre stati “pazzi di libertà” non possiamo continuare a permettere che i cosiddetti «standard di comunità», quelli che Facebook o Twitter si fanno a proprio uso e consumo assurgano al ruolo di fonti di diritto in questo immenso nuovo mondo dell’infosfera. I diritti che vengono lesi all’interno dell’infosfera sono diritti umani.  Anche questa è una forma di violenza, violenza contro la Conoscenza, contro il diritto nostro di Conoscere e farci Conoscere per quello che siamo.

Il diritto alla conoscenza è un diritto umano nel mondo della realtà e in quello virtuale, così come tutti quei diritti che riconosciamo come umani valgono nel mondo reale e in quello virtuale.

Nella più famosa canzone dedicata a Martin Luther King,  la bellissima Pride (In the name of love) degli U2 c’è un verso che recita così : 

…they took your life
They could not take your pride 

già l’orgoglio che insieme all’amore anima lo spirito di tutti gli esseri umani che dedicano le loro vite all’affermazione dei diritti, spesso faticosamente, a volte fino al sacrificio finale. 

Ma questo orgoglio sano, puro, contento di sé è un leggero mantello, che non ripara dal male, dagli attacchi, dalle sconfitte ma rende riconoscibili e soprattutto resta per sempre sulle spalle di chi lo indossa. Fino alla fine. 


Per questo oggi siamo qui. 

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